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Porto la terra d’Abruzzi, porto il limo della mia foce alle suole delle mie scarpe, al tacco de’ miei stivali. Quando mi ritrovo fra gente estranea dissociato, diverso, ostilmente selvatico, io mi seggo e, ponendo una coscia su l’altra accavallata, agito leggermente il piede ché mi sembra quasi appesantirsi di quella terra, di quel poco di gleba, di quell’umido sabbione ed è come il peso d’un pezzo d’armatura: dell’acciaio difensivo.
(Gabriele D’Annunzio)

CERAMICHE DI CASTELLI

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• Ceramica Gli abruzzesi erano abili come vasai e le loro ceramiche più famose furono prodotte a Castelli, nella Valle Siciliana. I vasai esistevano già dal tempo dei romani, ma nel XVI secolo l’arte della maiolica raggiunse la perfezione con la famiglia dei Grue, specialmente con Carlantonio e Francescantonio Grue. Esemplari dei prodotti di castelli si trovano in tutti i grandi musei d’Europa, ma in Abruzzo non ce ne sono, tranne forse uno o due pezzi appartenenti a collezioni private.

Anne Macdonell 1907

 

Castelli è dei borghi più belli d'Abruzzo, incorniciato dalla catena del Gran Sasso, che svetta imponente sul versante teramano con i monti Camicia e Prena in primo piano. 
Il borgo deve la sua fama nazionale, e non solo, alla produzione di maioliche. L'arte della ceramica di Castelli è un'eccellenza e un orgoglio made in Abruzzo da salvaguardare e tutelare nel tempo. Le vivaci decorazioni divennero note già dal XVI secolo. Durante il Rinascimento, infatti, la signoria dei Mendoza si stabilì nel borgo e con il loro supporto, ma grazie anche alla presenza di artigiani eccezionali, l'arte locale della ceramica divenne sempre più nota. Nel 1984 a Castelli è stato istituito il Museo della Ceramica volta a custodire le tradizioni e l'arte storica. Inoltre, nel territorio del borgo sì trova la Chiesa di San Donato, che è stata definita da Carlo Levi “la Cappella Sistina della Maiolica".

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"Ad Isola e nelle località vicine, soprattutto a Castelli, distante dalla prima appena un’ora di cammino, era fiorente un tempo l’arte della ceramica, iniziatasi qui, secondo gli studiosi, all’epoca degli etruschi che sono pertanto considerati i maestri dell’antica popolazione insediatasi in queste contrade. Nelle più remote località della provincia di Teramo si trovano ancora parecchie opere in ceramica databili dall’VIII fino al XIV sec. e precisamente ad Atri, Santa Maria a Mare, Loreto Aprutino ecc. …Attualmente l’arte della ceramica persiste come un triste ricordo soltanto a castelli, il centro principale e più antico di quest’industria, dove si trovano alcune misere fabbriche che producono pessime maioliche per l’uso quotidiano."

Alfred Steinitzer 1911

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I pastori poeti …la vita che conducono li trasforma in zotici e poeti. Ed in Abruzzo ci sono sempre stati pastori poeti. Benedetto de Virgilii, quello preferito dai padri Gesuiti e dal Papa, non è stato il primo, né l’ultimo e neppure il migliore. I temi dei componimenti che scrivono, ispirati nello stile dal tasso e dalla Bibbia, sono soprattutto: Dio, la Madonna e i santi. Essi sono stati tuttavia anche gli autori di gran parte di quella poesia d’amore diffusa per le valli e colline, patrimonio di tutti e di nessuno, di canti i cui temi sono costituiti da infiniti rimpianti per la partenza e la solitaria lontananza. Vi sono delle località in cui fioriscono particolarmente i pastori poeti. Barrea è una di queste e Leonessa ne costituisce un’altra,….sono tutti tristi. La partenza, la nostalgia della casa, l’amore per chi non c’è, il disgusto della desolata pianura apula sono i loro unici temi…

Anne Macdonell 1907

 

Racchiuso nella cerchia degli aspri suoi monti, costretto a vivere (quando non emigra) gran parte dell'anno nella solitudine, allorchè vede qualche forestiero è spinto dalla sua natura franca  e cordiale e gentile ad essere verso di lui rispettoso e deferente, di una ospitalità ormai diventuta proverbiale e piena di sollecitudine e premura, non affettata, ma sincera e dignitosa. Sia indole o necessità le donne abruzzesi sono arbitre nella casa: però il loro potere è naturale conseguenza della gran cura che ne hanno e del peso che ne portano; sono eccellenti massaie sapendo assai bene e lavorare e guidare le domestiche bisogna. La donna abruzzese è molto pregiata per le sue fattezze più di tutto  La bianchezza della sua carnagione, la finezza e vivacità di colorito, la grazia della movenza, la serenità del viso. la dolcezza dello sguardo e la bontà delle maniere le guadagnano tutti i cuori. Statura alta, membra robuste. abbellite da vaghe forme e da fisionomia dolce e vivace, che fa aperto lo schietto animo ed il pronto e sagace ingegno, amore per la fatica e perseverante costanza nel patirne lietamente i travagli sono in sostanza le doti caratteristiche dei buoni  e laboriosi abitatori dell'Abruzzo.

Enrico Abbate "Guida dell'Abruzzo" 1903

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ABBAZIA DI SAN GIOVANNI IN VENERE

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Una perla della Costa dei Trabocchi. Situata a Fossacesia l'abbazia risale al XIII secolo. È circondata da un meraviglioso panorama e vi si accede attraverso "il portale della luna". Ci sono anche un grazioso chiostro e la cripta sotto il presbiterio. Un gioiello tra storia e natura.

L’Abruzzo è l’unica regione meridionale, o meglio premeridionale, nella quale la componente ellenica non si avverte. Vi giunse invece più tardi un soffio d’Oriente, e lo si coglie nei costumi, nei tappeti, negli ori, nei merletti. L’Abruzzo ha qualità insulari, e la regione più affine ad esso è la Sardegna; ma qualche somiglianza si può scorgere anche con la Dalmazia e l’Albania. Il fondo dell’Abruzzo è dunque bizantino, romanico, gotico, con riflessi d’Oriente.
(Guido Piovene)

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"Alla terra d'Abruzzi,alla mia madre, alle mie sorelle,al mio fratello esule, a tutti imiei morti, a tutta la mia gente,fra le montagne e il mare,questo canto dellantico sangue consacro". 
La Figlia di Jorio.
Gabriele d'Annunzio

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CASTELLO ARAGONESE DI ORTONA

Il Castello Aragonese di Ortona è situato su uno sperone di roccia, nei pressi del centro storico. Risalente al 1492, fu utilizzato fino al XVII secolo con scopi difensivi, per poi divenire dimora signorile. Durante la Seconda Guerra Mondiale i continui bombardamenti e le diverse battaglie, tra cui la famosa "battaglia di Ortona", causarono la distruzione di quasi tutto il suo interno. Nel 1946 l'assenza di manutenzione portò la parte rivolta verso il mare a precipitare per uno smottamento, perdendo una torre e parte della struttura. Rimangono le mura esterne a rendere l'idea della bellezza del castello, circondato da vedute stupende  sul mare. 

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ABBAZIA DI SAN LIBERATORE A MAIELLA

L'abbazia di San Liberatore a Majella è situata nel comune di Serramonacesca.
La costruzione è databile intorno all'anno 1000 e rappresenta uno dei più antichi monasteri in Abruzzo. Si trova in uno scenario ricco di storia e vegetazione. La chiesa fu restaurata intorno al 1970 dopo che venne lasciata a stato di rudere per tantissimo tempo. Al suo interno vi sono affreschi importanti di epoca medievale che purtroppo si trovano in grave stato di usura a causa all'incuria in cui sono stati lasciati.
Dal monastero partono diversi sentieri che portano lungo il fiume Alento e conducono a storiche tombe rupestri di probabili eremiti che abitarono la zona intorno al VIII secolo.

Sulle pendici nord-orientale del monte Maiella, non lontano da Santa Maria d’Arabona, è situato un convento, un tempo ricco e rinominato, sottomesso al convento, un tempo ricco e rinomato, sottomesso al convento madre di Monte Cassino, chiamato San Liberatore o anche San Salvatore. Quando sia stato fondato non è sicuro. Come possedimento di Monte Cassino viene citato nell’inventario, come ultimato sotto il comando dell’abate Bertario (856-884). Un documento interessante, riferentesi all’abbazia di San Liberatore, è pervenuto a noi nella cronaca dell’anno 1019, che Teobaldo, successivamente abate di Monte Cassino (1022-1035) e per un lungo periodo priore in quel convento, ha redatto per assicurare il suo ricordo presso i successori e per spingerli all’emulazione. Teobaldo riporta nel documento che a undici anni abbandonò i genitori, andò a Monte Cassino e lì fu accolto dall’abate Aligerno (949-985). Dopo la morte di questo, trentuno anni dopo il suo arrivo all’abbazia, l’abate Giovanni mandò (come priore) al convento di San Liberatore, nella contea di Chieti sul fiume Lenta. Egli trova qui una chiesa piccolissima e scura: gli edifici rimanenti sono di legno e vecchi. Subito comincia ad erigere tutte le costruzioni del convento in pietra, insieme ai confratelli con lui arrivati e con quelli lì trovati, a partire dalle fondamenta (1019), come si vede ancora oggi. Alla chiesa aggiunse una cantoria (titulus) ed una chiesa inferiore (confessio); al portale principale (regia) uno spazio di circa tre passi; in altezza però portò a tre braccia i muri, che adornò con dipinti e finestre. Innalzò sei altari, quello principale dedicato al Salvatore e Liberatore (Salvator et Liberator), alla Vergine Maria ed a tutti i santi. Davanti a questo eresse un pannello d’argento di meravigliosa bellezza, che fece in parte dorare. L’argento lo aveva ricevuto dai suoi genitori. Il famoso abate Desiderio di Monte Cassino, poi papa Vittorio III, il quale menzionò nel secondo libro dei suoi dialoghi sui miracoli di San Benedetto il nostro convento fiorentissimo, e alla cui bellezza l’abbazia madre doveva un grande splendore, fece rinnovare “pulchro satis opere” nel 1081 la chiesa di San Liberatore, alla cui guida c’era il priore Atenolfo.

Heinrich Schulz
"Monumenti dell’arte medievale in Italia meridionale. Tra le meraviglie dell’arte romanica"1840
 

“V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, semplicità ed efficacia, una parola consacrata dalla intenzione degli onesti a designare molte cose buone, molte cose necessarie: e la parola Forza. Epperò, s’è detto e si dice il forte Abruzzo. V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, comprensiva eleganza, una parola che vale a comprendere definendole, tutte le bellezze, tutte le nobiltà è la parola Gentilezza. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, dico io: Abruzzo Forte e Gentile. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, ho detto e ripeto io: Abruzzo Forte e Gentile.” (Primo Levi)

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EREMI LEGATI ALLA VITA DI PIETRO DA MORRONE

ABBAZIA DI SANTO SPIRITO A MAIELLA

Situato nel territorio di Roccamorice, l'eremo risale a prima dell'anno mille ed è stato un monastero della Congregazione dei Celestini. E' un monumento nazionale di grande bellezza e spiritualità, incastonato ad una parete rocciosa e composto da più livelli. E' facilmente raggiungibile e visitabile. Camminando lungo le gradinate di roccia, si ha la sensazione di essere catapultati nel passato. Alcuni locali, come la cella di Celestino V, sono visitabili soltanto con l'ausilio delle guide a disposizione, che consigliamo di seguire per comprendere meglio i dettagli e la vita di quei tempi. Vi sono opere interessanti come il busto di Papa Celestino, la statua di San Michele Arcangelo e alcune sculture in legno di natura religiosa. L'eremo di Santo Spirito a Majella è un luogo di grande meditazione, da vedere con calma, godendo di tutte le sorprese che esso, gradino dopo gradino, ci regala.   

EREMO DI SANT'ONOFRIO A MORRONE

Risalente al XII secolo, è un eremo di grande importanza storica. Ospitò, infatti, Pietro da Morrone, divenuto poi Papa Celestino V. È raggiungibile in 20 minuti di cammino, partendo dal parcheggio  dell'area archeologica di Ercole Curino. Posto su un dirupo a 600 metri di altezza, è un luogo molto suggestivo e ricco di pace e spiritualità. Da qui è possibile ammirare la valle Peligna e la città di Sulmona. E proprio qui nel 1294 venne annunciato al futuro Celestino V l'elezione a Papa. Le vicende sull'elezione e sulla discussa rinuncia al pontificato sono narrate in una interessante opera letteraria intitolata "L'avventura di un povero  cristiano", scritta da Ignazio Silone.

EREMO DI SAN BARTOLOMEO IN LEGIO

Situato nel comune di Roccamorice è un bellissimo eremo risalente al 1250 per volere di Pietro da Morrone. Qui il futuro papa Celestino V visse per due anni dal 1274 dopo aver fondato la Congregazione dei celestini. Un gioiello raggiungibile in 40 minuti a piedi attraverso un sentiero senza molte difficoltà.  Si trova metà di uno scosceso sperone roccioso circondata da un panorama spettacolare. Immerso nel verde in un contesto di grande spiritualità. 

E' vigorosa la razza che abita l'Abruzzo. Qui si incontrano ancora i veri e genuini pastori degli antichi tempi. Da più che mille anni essi non hanno punto cambiato costumi e usanze, poichè anche il loro culto cristiano non è che paganesimo leggermente inverniciato. Sono belli e forti, abbronzati e aitanti della persona, ma d'animo mite assai; passan l'etate sotto una leggera capanna di pagli col can da lupo per compagno ed amico, la litografia del santo patrono incollata ad una rupe per protettore, e per diletto l'instrumento di Pane, la stridula zampogna, appesa all'ingresso della capanna, mentre le donne nella valle attendono alla casa. D'inverno se l'orso e il lupo si mostran sulle pendici, cambiano il bastone con il lungo moschetto o bene spesso emigrano a portare nella malsana campagna romana incolta o nell'immenso tavoliere di Puglia le loro greggi o a cercare guadagni in lavori agricoli.
Enrico Abbate Guida dell'Abruzzo 1903.


 

EREMO DI SANT'ANGELO

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​EREMO DI SANT'ANGELO
(Palombaro)

Si trova all'interno della omonima grotta in contrada Sant'Agata d'Ugni, nel comune di Palombaro. È raggiungibile attraverso un facile sentiero della durata di 10 minuti. Le sue origini sono abbastanza incerte. L'unica notizia storica è contenuta all'interno della bolla di Onofrio III risalente al 1221, in cui si attesta l'appartenenza dell'eremo al monastero di Fara San Martino. Esso fu un luogo di culto dedicato a Bona, dea della fertilità, e successivamente a San Michele Arcangelo in onore della transumanza. All'interno della grande grotta, di circa 35 metri, ci sono i resti della zona dell'altare, le cui caratteristiche sono simili a quelle dell'abbazia di San Liberatore a Majella. Inoltre, vi sono testimonianze di antiche cisterne per la raccolta dell'acqua piovana.

    "La figlia di Iorio"

Francesco Paolo Michetti

CONVENTO MICHETTI

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Chiamato al tempo convento di Santa Maria del Gesù di Francavilla al Mare, fu un monastero acquisito da Francesco Paolo Michetti verso la fine dell'Ottocento. Rappresentò un luogo di grande spessore artistico e culturale, un centro di aggregazioni e riunioni delle migliori personalità, abruzzesi e non, di inizio Novecento. Basti pensare a Gabriele d'Annunzio, a Matilde Serao, a Francesco Paolo Tosti, a Basilio Cascella e a tanti altri che condivisero opinioni e scambi culturali notevoli. L'importanza del cenacolo superò i confini abruzzesi, divenendo un posto a cui ispirarsi.
Importante fu il sodalizio tra Michetti e il Vate, il quale dedicò all'amico "Il piacere"(1889). Nel convento D'Annunzio scrisse, oltre a "Il piacere", anche gran parte de L'innocente (1891) e de Il trionfo della morte (1894): «Ora nel Convento di Francesco Michetti, pittore e pittagorico, io mi proponevo appunto di comporre la mia seconda prosa» (Gabriele d'Annunzio in Libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire, 1935). 

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«Queste settimane d'estate resteranno memorabili per me. Non avevo mai lavorato con tanta violenza e non avevo mai sentito il mio spirito in comunione così forte con la terra. Quest’opera viveva dentro di me da anni, oscura. Non ti ricordi? La tua Figlia di Iorio fece la prima apparizione or è più di vent’anni, col capo sotto un dramma di nubi. Poi d'improvviso si mostrò compiuta e possente nella gran tela, con una perfezione definitiva che ha qualche analogia con la cristallizzazione dei minerali nel ventre delle montagne.»

(D'Annuzio, lettera a Michetti, 31 agosto 1903)

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“Oh bei giorni ottobrali di Francavilla , quando il culto dell’arte ci univa! Quella povera casa solitaria , in mezzo alla immensità dei litorali, era il nostro tempio : per le stanze un grande alito di salsedine spirava, ci ventava in faccia l’odore degli scogli , ci infiltrava nel sangue un’aspra freschezza di salute… Oh bei giorni di Francavilla ! Che sciupio felice di giovinezza , di forze, di amore, di sangue,di vino! Che felice copia d’ingegno sparsa nelle tele, nella creta, nelle strofe, nelle canzoni! Paolo Tosti allora cantava : una scaturigine vergine di melodia gli surgeva dal cuore pullulando e zampillando naturalmente. Tra i suoi accordi i ritornelli delle cantilene languivano come in eco, nella sua romanza infondevano come una tristezza indefinibile di nostalgia. Per la casa le onde fresche del suono talvolta si spargevano all’improvviso propagando un fremito: noi stavamo in ascolto, levato il capo dal lavoro…. Così la vita era in fiore … Prodigavo colori e odori e fulgori con una pazza ingenuità di fanciullo. Di tratto in tratto la faccia olivastra e sonnacchiosa di Paolo De Cecco si chinava su le mie carte e un fine sorriso animava quegli occhi…. Era il terzo Paolo , una figura d’arabo ubriaco di sogni di tabacco e di amori…. e dalle corde metalliche del mandolino suscitava la dolce tristezza umana delle note di Schubert. Accanto a me Costantino Barbella plasmava la divina creta, canticchiando. Ai tocchi fini della stecca e del pollice le forme feminee balzavano fuora con una viva freschezza di gioventù, con una movenza balda di vita. In torno nella nitidezza del bronzo , arridevano i suoi idilli maggiaioli. Si viveva così obliosamente. La sera , mentre il plenilunio ottobrale saliva alla marina, i nostri cori risuonavano nella tranquillità degli oliveti , sotto l’incerto biancicare argentino dei rami. Erano le canzoni della patria. Dalle lontananze altri cori giungevano sul vento: nelle aie le villane cantavano, scartocciando le pannocchie di granturco, alla faccia lunare.”

ENOGASTRONOMIA
 


“Da sempre ho amato e apprezzato i prodotti di questa splendida regione. Con le sue colline verdeggianti piene di pascoli in contrasto all’impressionante e maestoso Gran Sasso. L’Abruzzo racchiude bellezze e valori autentici, non ancora pienamente valorizzati e conosciuti. Credo che l’Abruzzo, con le sue bellezze e la sua ospitalità diventerà una delle mete preferite dai turisti di tutto il mondo”. Heinz Beck
 

Arrosticini: simbolo dei piatti tipici abruzzesi, famosi anche all'estero, le rustell sono spiedini di carne di pecora. La zona di origine viene tradizionalmente fatta risalire alla zona della Piana del Voltigno, strettamente legata alla cultura pastorale della regione. 

Canestrato di Castel del Monte: formaggio traduzionale legato alla transumanza, deriva dalla caseificazione di latte ovino con aggiunte di sale e caglia. La stagionatura parte dai due mesi a due anni, a seconda del tipo di lavorazione e risultato che si desidera ottenere. 

Centerba: liquore storico abruzzese fin dall'ottocento, legato al borgo di Tocco da Casauria che ne è la famosa patria di questo liquore. Le erbe aromatiche del nostro territorio valorizzate da un'alta gradazione alcolica ne fanno un liquore adatto ai fine cena pesanti delle tavole abruzzesi!. 

Confetti di Sulmona: una tradizione talmente importante e storica dall'avere un famoso museo presso la ditta Pelino, una tradizione che continua dal 1400. 
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Montepulciano d'Abruzzo: vino Doc dal 1968, simbolo delle nostre terre. Il vino rosso pieno di orgoglio e fierezza abruzzese.
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Mugnaia: testo di enzomassimini condiviso su Abruzzoom: _enzomassimini_

La Mugnaia, detta anche Molinara, è un piatto tipico abruzzese che ha i suoi natali ad Elice (PE), borgo medievale nella vallata del fiume Fino tra le province di Pescara e Teramo, dove sorgevano numerosi i mulini ad acqua che macinavano il grano tenero, materia prima di questo prodotto.Si caratterizza per la sua forma allungata e irregolare e la particolare consistenza. La lavorazione tradizionale inizia col praticare un foro al centro dell’impasto, ottenuto da acqua, farina (un mix di grano duro e di grano tenero) e uova in piccolissima percentuale (pari al 4%), in modo tale da creare un anello di pasta che viene poi disegnato ad arte e allungato fino ad ottenere il corretto spessore.Il piatto ha origine povere e contadine – come suggerisce l’etimologia stessa del duplice nome – tanto che in epoca medievale rappresentava per le famiglie il pasto quotidiano con un condimento semplicissimo, a base di solo aglio, olio e peperoncino.La tradizione di questa pasta, ormai conosciuta a livello nazionale, arriva fino ai giorni nostri arricchita di sughi e condimenti che, per quanto elaborati, non hanno mai perso la componenete di genuinità che è insita in ogni piatto fortemente legato all’identità del territorio.La ricetta classica la vuole condita con un sugo insaporito da carne di vitello e maiale, peperone e melanzana e l’aggiunta finale di parmigiano o pecorino, ma non mancano varianti altrettanto appetitose come la versione integrale, più fedele alle origini, e quella con condimento vetegetariano a base di zucca e radicchio.

 

Pallotte "Cace e ove": polpette uova e formaggio, pane, aglio, rappresentano una della espressioni culinarie abruzzesi più conosciute, un marchio di fabbrica immancabile del nostro territorio. 

ParrozzoIl dolce simbolo d'Abruzzo. L'idea deriva agli inizi del 900 dal pasticcere pescarese Luigi D'amico il quale propose una versione dolce del pane rozzo di impronta contadina. Un impasto di tuorli d'uovo e farina di mandorle con colate di cioccolato fondente, un gusto forte, squisito che non passa inosservato. Ed è così che in breve divenne il dolce preferito di Gabriele d'Annunzio al quale il poeta dedicò perfino un sonetto.

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È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè,

c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove,

la terre grasse e lustre che se coce e che dovente

a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce.

Benedette D’Amiche e San Ciutté!…

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Pescara dolce paese della Pineta al parrozzo, Sibilla Aleramo.



San Pasquale: liquore alle erbe storico di Atessa, originato dalla famiglia Cav. Remo Mario Totaro dalla seconda metà dell'ottocento. Un mix unico di 14 erbe aromatiche che ne fanno un digestivo di assoluta qualità. 

 

Sfogliatelle: testo di tappe d'Abruzzo condiviso su Abruzzoom: Le sfogliatelle anche se comunemente associate a Napoli, sono un tipico dolce di Natale abruzzese anche se più diffuso nella provincia di Teramo.
L’antica storia di queste sfogliatelle abruzzesi si lega alle più antiche sfogliatelle napoletane. Erano i primi anni del ‘900 quando Donna Anna, moglie del barone Tabassi, eredita la ricetta delle sfogliatelle napoletane dalla suocera, originaria della Campania. Avendo a disposizione ingredienti differenti dalla ricotta, utilizzata come ripieno nella versione partenopea, e dello strutto, Donna Anna riadattò la ricetta originale utilizzando la marmellata d’uva come dolce ripieno e lo strutto tra una sfoglia e l’altra, rendendola più friabile e soffice. Alla marmellata d’uva, per il ripieno vennero aggiunte noci e mosto cotto.
La ricetta originale, che segnò la nascita delle attuali sfogliatelle abruzzesi.


Sise delle Monache: tipico del borgo di Guardiagrele, chiamato anche tre monti viene realizzato  da due strati di pan di spagna, crema pasticcera, con la forma di tre protuberanze, creato da Giuseppe Palmerio.

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Uno dei larghi tratturi, o sentieri per bestiame, passa nella stessa linea della strada maestra per L’Aquila. Un pastore guida ogni gruppo di bestiame e ne ha la particolare cura e responsabilità; egli è armato d’un vincastro, cammina un pò avanti al suo gregge, seguito da un vecchio montone, chiamato il manso, la quale parola, che significa mansueto o ammaestrato, ha certamente un significato più proprio del nostro bellwether, benché anch’esso sia, come il nostro, fornito di un campano dal suono profondo. Le pecore camminano in fila di circa dodici ciascuna e ogni battaglione, se così può chiamarsi, è guardato da cinque o sei cani, secondo il suo numero; questi accompagnano la mandria, camminando in testa, al centro e dietro. La bellezza e la docilità di questi cani, che sono di solito bianchi, è spesso stata descritta e il loro comportamento è buono fino a quando le pecore non vengono molestate, ma alla sera diventano così feroci, che sarebbe pericoloso avvicinarsi all’ovile che essi guardano. Le capre, che sono assai poche in proporzione alle pecore, e sono generalmente nere, chiudono la schiera e manifestano la loro superiore intelligenza con il mettersi a giacere quando c’è una temporanea sosta. Le vacche e le cavalle viaggiano in gruppi separati. Un certo numero di queste greggi comunemente appartiene a uno stesso proprietario; sono sotto l’immediato governo e ispezione di un agente, detto fattore, che le accompagna stando a cavallo, armato di fucili e meglio vestito dei pastori, i quali, d’estate e d’inverno, vestono un giaccone di pelle di pecora e sono sotto altri rispetti provvisti di un discreto anche se semplice abbigliamento e di scarpe resistenti. I fattori sono tutti nativi dell’Abruzzo…quando esplicano il mestiere di pastore 31 e secondo i doveri del loro incarico sono occupati nel villaggio, il loro aspetto è quasi invariabilmente segnato dalla stessa espressione, che unisce mitezza e sagacia a una imperturbabile gravità e a uno sguardo profondamente triste. La durata della loro dimore in queste regione è regolata dal rapido o lento progredire della stagione estiva; nel corso di essa i pastori spostano i loro attendenti secondo il crescere del caldo, finchè raggiungono i luoghi più alti, da poco scoperti dallo strato profondo di neve sotto cui sono stati sepolti per tre quarti dell’anno. Nell’aquilano…buonissima pastura, ruscelli di acqua fresca e pura e larghe ombre boscose trattengono le greggi durante il rimanente buon tempo e offrono il non plus ultra del piacere assegnato a un’esistenza che ha così ristretti limiti di varietà. Nell’Abruzzo Citra, o provincia di Chieti, come è chiamata, non esistono simili pascoli, benché non manchino i tratti montagnosi. I percorsi dei pastori seguono nelle loro annuali migrazioni nell’Abruzzo e dall’Abruzzo sono costituiti da larghi tratti segnati nel terreno erboso, l’integrità dei quali è mantenuta con grande cura.

Richard Keppel Craven 1837

"Viaggio attraverso l’Abruzzo"


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