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arte e storia

Etimologia di Abruzzo:
Inizialmente l'Abruzzo comprendeva la zona dell'Interamnia Praetutiorum, ossia l'attuale territorio teramano, chiamata con il termine di Aprutium-Aprutio. L'antica zona del teramano era legata al popolo dei Petruzi di origine Fenicia. In passato era comune il denominativo Abruzzi: il territorio era suddiviso in due parti separati dal fiume Aterno-Pescara. Nel XIV secolo vi erano l'Abruzzo Ulteriore e Abruzzo Citeriore con le relative capitali, L'Aquila e Chieti.

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Sulla origine del nome di Abruzzo varie sono le opinioni; chi lo dice derivato dal latino Aprutium, per essere abbondante di apri cignali; chi lo afferma dato a questo territorio perchè aspro, montuoso, e chi lo crede, ed è questa l'opinione più verosimile, derivato dall'antico Petrut. Una colonia fenicia risalendo il Badino (Tordino) avrebbe fondato questa città alla destra dell'Albula (Vezzola), là dove ora è Teramo. Nell'aggressione di qualcuno dei popoli che successivamente vennero a stanziare nel territorio, questa antica città fu distrutta una prima volta, i romani nel V secolo della repubblica, da Petrut la dissero Petrutia o Pretutia con l'aggiunta di Interamnia per la sua posizione tra fiumi, e Pretuziani e Interamniti gli abitanti. Nel secolo V dell'era volgare Interamnia fu abbattuta dai barbari, e fu la seconda distruzione. Risorse col nome di Apruzzo e Teramna insieme. Saccheggiata e incendiata nel 1155 dal conte Loretello Normanno, rivisse col nome di Interamnia, Teramo, lasciando il suo nome più antico di Pretuzio, Apruzzo, Abruzzo, a quel territorio montuoso che si distende lungo l'Adriatico per circa 200 chilometri dal fiume Tronto al fiume Trigno allugandosi verso occidente fino alle acque che si versano nel Tevere.

Enrico Abbate Guida dell'Abruzzo 1903. 

 

Un tempo lontano,  tanti secoli addietro,
               mischiata ai soli e alle stelle comete,

                indovina un po' che cosa si era formata?
            Una cosa curiosa,  una specie di gomitolo.

            Sopra questo c'erano, a dirtela brevemente,
                fiumane e montagne coperte di neve;
                  per far la pariglia a questi chiari di luna,
                   di bestie  e di piante soltanto qualcuna;

                        moltissimi sassi, petrolio e metano,
                  ma neanche l'odore di qualche cristiano.
            Durante quella lagna, in mezzo a quell' ammasso, 
             un monte di quelli, chiamato GRANSASSO,   
                 che si era scocciato di vivere in sordina,
                  decise un giorno di fare una bravata.
                    Sentendosi dentro uno strano calore,
                     una voglia di fare proprio all'amore,

                 gettò tutt'intorno uno sguardo assassino
                        e vide, ma proprio lì vicino,
                          vestita di neve, coperta di gelo,
                       ma piena di sole e d'azzurro del cielo,
                 una bella montagna delle altre più bella
                  che era chiamata di nome MAJELLA. 

                         Le fece una corte così spietata
                     che quella per forza rimase incantata.
                  Siccome era femmina e quindi civetta 
                         si fece, perciò, ritirare la calzetta;
                        per poco, però, perché già si vedeva
                      che, gira e rigira, anche lei ci stava.   

                      Si amarono così con tutte le forze
                       che, per il calore, la neve si sciolse;
                        la terra finì di essere soda e ignorante,
                  spuntarono con l'erba tantissime piante
                        di tanti colori per fare  cornice
                    la più naturale  a quella coppia felice.

                           Appena passati  pochi  mesi
               nacquero i figli chiamati ABRUZZESI:
                          così figurarono alla Stato Civile.
                         La razza che nacque fu forte e gentile.
"CI STEA   'NA   ‘OTE"   (C'ERA UNA VOLTA)
Versi in vernacolo di Mario Lolli

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IL BAMBINO DI SCANNO


È una delle fotografie più famose eseguite in Abruzzo. Datata nel 1957, fu scattata dal famoso fotografo Mario Giacomelli in una meravigliosa Scanno dell'epoca. Il borgo viene definito "La città dei fotografi" per i bellissimi scorci e per l'atmosfera medievale che ancora permane nel paese. Alcuni famosi fotografi del Novecento sono passati da Scanno, come Henri Cartier-Bresson, Hilde Lotz-Bauer e appunto Mario Giacomelli. Il bambino di Scanno rientra tra i simboli d'Abruzzo ed è esposta nel Museo d’Arte Moderna di New York (MoMA). La foto ritrae un bambino con un portamento da adulto in un contesto surreale e ricco di tradizioni, in piazza Sant'Antonio, all'uscita dalla messa; intorno a lui ci sono alcune donne dell'epoca con abiti che tuttora le anziane del borgo utilizzano.

GRAN PREMIO DI FORMULA 1 DI PESCARA 1957

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Avvenuta nel circuito di Pescara nel 1957 è il gran premio più lungo mai avvenuto in Formula Uno con la lunghezza di 25.579m. Era un circuito prestigioso per il fatto che vi si disputava dal 1924 la Coppa Acerbo. Parti interessanti del circuito erano i diversi tornanti nella zona di Cappelle Sul Tavo (vi è un monumento a ricordare l'evento) e il lungo rettilineo del chilometro lanciato corrispondente all'attuale via Vestina. 

LA PRESENTOSA

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<<Portava agli orecchi due grevi cerchi d’oro e sul petto la presentosa: una grande stella di filigrana con in mezzo due cuori>> (Trionfo della morte, 1894). Così Gabriele D’Annunzio descrisse questo gioiello abruzzese, in filigrana d'argento o d’oro con uno o più cuori al centro di una stella, indossato dalle donne in occasioni importanti.
La presentosa prende origine dall'usanza di donare il ciondolo come promessa di matrimonio. Le prime fabbriche risalgono agli inizi dell’800 e furono quelle di Agnone (ora in territorio molisano) e Guardiagrele. In seguito nacquero altre officine a L'Aquila, Pescocostanzo, Sulmona e Scanno.
Attualmente in paesi come Pescocostanzo, Sulmona, Roccaraso e Scanno vi sono realtà artigiane di produzioni locali della presentosa. A Lanciano la nuova pavimentazione del corso Trento e Trieste, realizzata tra il 2018 e il 2019, ricorda la forma della presentosa. Inoltre, all’Aquila, durante il G8 del 2009, il governatore della regione Abruzzo donò ai capi di stato le tradizionali presentose in segno di ospitalità.

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LAGO DEL FUCINO

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foto da NeveAppenino

Il lago del Fucino fu il terzo lago per estensione d'Italia, il suo prosciugamento fu un processo estremamente lungo fatto di molteplici tentativi falliti già a partire dall'epoca romana, il suo livello irregolare provocava inondazioni portando anche frequenti episodi di malaria. La principale fonte del bacino era il fiume Giovenco. Il suo definitivo prosciugamento avvenne per opera di Alessandro Torlonia nella seconda metà dell'ottocento.

"Quando era tranquillo, il lago era utile e le sue rise ospitavano una famiglia di pescatori ed il pesce era ottimo per la bontà..tuttavia quando straripava misteriosamente ed inspiegabilmente preoccupando gli abitanti, si levava il grido: "Prosciugate il Fucino!". Anne Macdonell 1907


«O Torlonia asciuga il Fucino, o il Fucino asciuga Torlonia»


Lago Fucino
….a questo punto fui deluso dalla mia aspettativa. Mi aspettavo uno specchio d’acqua scintillante ed azzurro, e vidi un lago oscuro per l’ombra del cielo e dei monti, d’un grigio-plumbeo confuso. Mi parve un morente che prendesse congedo dalla dolce vita, e la sua vista mi depresse e mi mise di cattivo umore. Ma quando ci fummo avvicinati, a circa un’ora di distanza, esso cominciò a sorriderci azzurro, e mostrò di avere ancora un bacino abbastanza considerevole, grande all’incirca come il lago di Bracciano. Pure non potrà avere più di 21 miglia di perimetro. Quando era ancora intatto ne aveva 35. Più di 15 miglia mi parve dover essersi ristretto.
….le rive del lago non misurano più che tre miglia. Dove poco fa si agitavano le onde e i pescatori gettavano le reti, sono ora verdi seminati, campi solcati dall’aratro e divisi fra loro da segni di confine portanti lo stemma e le iniziali dei Torlonia…
….arrivammo al cantiere dei lavori, dove ci si presentò uno strano spettacolo, che in piccolo ricordava il lavori del canale di Suez. Un canale largo e profondo è stato scavato nella sponda del lago: in questo scorrerà l’acqua del lago, quando sarà compiuto il prosciugamento e quando sarà stata tagliata la diga. Delle cateratte massicce. Di pietra bianca squadrata, sono state costruite con fattura semplice e solida. Nel canale ed intorno erano centinaia di operai occupati a riempire di melma dei cesti e a portarli via su di un cole vicino. In gran parte erano donne che compivano questo lavoro. I fazzoletti rossi, le loro teste variopinte, secondo il costume di Sora, davano alla riva un aspetto straordinariamente animato. Il nuovo canale viene a trovarsi in una posizione molto più bassa dell’antico, per mezzo del quale già una parte del lago era stata prosciugata. E questo canale si dirige direttamente verso il monte Salviano, dove sono anche gli antichi emissari di Claudio. Vedemmo anche tre colossali gallerie, una sopra l’latra, parte in muratura, parte scavate nella roccia, che si trovano molto al di sopra della superficie del suolo. …L’emissario di Claudio fu già espurgato dall’imperatore Federigo II, poiché già per molti secoli d anche nell’anno 1826 era stato più volte tentato il prosciugamento del lago. Questo tentativo ebbe felice esito solo nel nostro tempo; una società di capitalisti, fra cui molti francesi, intraprese circa 121 anni fa questa grande opera.
L’emissario di Claudio fu in questa occasione riattivato, approfondito ed allargato. Torlonia, finalmente, assunse per suo conto l’alta direzione di tutta l’impresa. Fra pochi anni il prosciugamento del lago sarà compiuto.

Ferdinando Gregorovius 1871

Qui s'apre il bacino del già lago del Fucino che giace in mezzo agli Abruzzi sul lato occidentale della catena mediana che comincia nell'Umbria presso al fiume Velino e raggiunge il punto culminante nell'omonimo monte. L'azzurro lago distendeva le sue acque in una profonda conca tutta intorno recinta di monti accavallati gli uni sugli altri; i numerosi paeselli biancheggianti si schieravano lungo le sue rive. Qui si iniziarono e svolsero le guerre dei Marsi, qui si raccolsero in selvaggie schiere i ruvidi confederati per scendere contro Roma da monti impenetrabili; qui Marrucini, Equi, Peligni, Vestini e frentani formarono una formidabile lega che nella incantevole conca peligna trovò per sua sede la inespugnabile e forte Corfinio. Qui doveva sorgere la nuova Roma in questa fede battezzata col nome di Italia, dolce nome che per la prima volta l'eco dei monti ripercosse e rimase poi al colosso di essi, che lo serbò anche in tempi in cui quasi pareva cancellato dalla storia. 
Enrico Abbate Guida dell'Abruzzo 1903


"Alla terra d 'Abruzzi, alla mia madre, alle mie sorelle, al mio fratello esule, a tutti i miei morti, a tutta la mia gente, fra le montagne e il mare, questo canto dell'antico sangue consacro" (La Figlia di Jorio, Gabriele D'annunzio)


 

LA TRANSUMANZA

Per strada incontrammo La Zappa, un capraro di Fontamara che cercava anche lui l’Impresario. Egli si trovava con le sue capre nel tratturo, quando una guardia campestre l’aveva avvertito che doveva essere arato per conto dell’Impresario. “Il tratturo dell’Impresario?” aveva detto il capraro ridendo. “Allora, anche l’aria è dell’Impresario?”. I tratturi sono sempre stati di tutti. Dalle nostre montagne fino alle Puglie, sono sempre stati di tutti. Nel mese di Maggio, dopo la fiera di Foggia, un interminabile fiume di pecore vengono ogni anno a passare l'estate sulle nostre montagne, fino ad Ottobre. Dopo sono successi tanti avvenimentii, guerre, invasioni, combattimenti di papi e di re, ma i tratturi sono sempre rimasti di tutti. Ignazio Silone

Il rito della transumanza è uno dei simboli più caratteristici del nostro territorio. Lo spostamento stagionale che permetteva ai greggi dei monti abruzzesi di spostarsi al tavolieri delle Puglie durante il periodo invernale. La parola ha origine dal termine "humus", terra.. e l'Abruzzo è solcato dai tanti tratturi ricchi di storia, storie di vita dura e sacrificata, di pastorizia e da duro lavoro. La transumanza ha rappresentato la fonte di sussistenza principale per la popolazione abruzzese per secoli, tanti paesi sono nati proprio perchè posizionati lungo i tratturi. 

 

«Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.»

(Gabriele D'Annunzio, I pastori)

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L'industrializzazione, la spartizione dei territori all'indomani della unificazione italiana hanno portato una lenta ma inesorabile decadenza della transumanza. I vecchi tratturi sono stati convertiti in strade o scomparsi nella vegetazione. Negli ultimi anni vi sono tentativi di valorizzazione della storia e dei percorsi storici  di un passato lontano ma ancora presente nello spirito del nostro territorio.

Di settembre allor verso la fine lassù nel nostro Campo Imperatore, sull’alte vette, e pur sulle colline vi scende della neve il bel candore, bianche le valli ed il piano di brine ti punge il freddo; le greggi e il pastore non vi ponno più stare senza ripari a partire convien che si prepari. La partenza è ver che è dolorosa che distaccarsi non puo far piacere, perché si vive una vita incresciosa delle Puglie nel vasto Tavoliere. Chi lascia la consorte o l’amorosa, i figli, i genitori. Triste mestiere! Per la miseria e campar la vita la famiglia non può viver unita.
E partono i pastori un bel mattino pare che sembran lieti e confortati, per breve tratto del lungo cammino vanno dai loro cari accompagnati. Breve sosta nel borgo vicino, dopo di aversi un po’ rifocillati come gli piace con qualche bicchiere che gli toglie la pena e il dispiacere.
A Forca poi si fermano la sera dove si stanno col gregge accampati. Come si puote in qualche maniera si fa la magra cena e ristorati; poi si stanno nella notte intera sopra a qualche pelle addormentati, e non appena è chiaro il mattino son pronti e si rimettono in cammino.
Pel tratturo si va largo ed erboso dove le greggi posson pascolare; per tutto il giorno non si ha mai riposo danno le greggi fin troppo da fare. Lo sguardo intorno può spaziare ozioso tanti paesi belli ad osservare, Frittoli, Curvara e Petranico adagiato sopra un colle aprico.
Adagio o in fretta sempre avanti vanno campi e paesi a incontrar più belli, Cugnoli, Nocciano, a destra Alanno; dei contadini dovunque gli ostelli. Son ghiotti i pastor io non m’inganno di tutti i tratti che vedon novelli; i giovani talor svelti ed accorti nelle vigne rubano e negli orti.
La sera poi nell’ubertosa piana del Pescara si sosta, a lieta cena  con gente buona, si può dire umana e si oblia un po’ l’amara pena. Non si sa da quale època lontana alle Puglie il trattur le greggi mena. …
Francesco Giuliani

 

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IL PARROZZO
 

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Il dolce simbolo d'Abruzzo. L'idea deriva agli inizi del 900 dal pasticcere pescarese Luigi D'amico il quale propose una versione dolce del pane rozzo di impronta contadina. Un impasto di tuorli d'uovo e farina di mandorle con colate di cioccolato fondente, un gusto forte, squisito che non passa inosservato. Ed è così che in breve divenne il dolce preferito di Gabriele d'Annunzio al quale il poeta dedicò perfino un sonetto.

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È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè,

c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove,

la terre grasse e lustre che se coce e che dovente

a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce.

Benedette D’Amiche e San Ciutté!…

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Pescara dolce paese della Pineta al parrozzo, Sibilla Aleramo.

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LE FARCHIE DI FARA FILIORUM PETRI

Fara Filiorum Petri deve la sua fama alla tradizione storica delle Farchie che si svolge a Gennaio in occasione della ricorrenza di Sant'Antonio Abate. Le farchie sono enormi fasci di canne dall'altezza che può arrivare anche a  metri dieci a cui si da fuoco sulla loro sommità. I fasci sono dodici, una per ogni contrada, per il forte attaccamento della popolazione a questa tradizione è un evento molto atteso. Colli, Madonna, Mandrone, Forma, Vicenne, Fara centro, Crepacci, Campolungo, Colle Anzolino, Sant'Antonio, Sant'Eufemia, Giardino o Sant'Agata, Pagnotto, le contrade del borgo.  La tradizione trae origine dall'evento del 16 Gennaio 1799, le truppe francesci in rapida discesa verso il sud dell'Abruzzo vengono spaventati da imponente incendio nel bosco, gli alberi in fiamme fanno pensare ai francesi di essere di fronte a creature mostruose a difesa del paese e preferiscono aggirare Fara Filiorium Petri. Gli abitanti attribuirono il fatto all'intercessione del santo.
 

Altre curiosità...
Cocullo: Festa di San Domenico San Domenico di Cocullo o di Sora, nacque a Foligno in Umbria nel 950 d.C. e morì a Sora il 22 gennaio del 1031. era dell’ordine benedettino e fondò parecchi conventi nelle valli e sulle montagne degli Abruzzi, ma non vi rimase mai. Egli riuniva i monaci, eleggeva il loro capo, e poi si ritirava a vivere da anacoreta in una caverna. Fondò un monastero a Cocullo e rimase lì per qualche tempo, facendo molti miracoli . quando egli se ne andò, la popolazione lo scongiurò di lasciare qualcosa di sé per proteggerli dalla sfortuna, dai serpenti velenosi, dall’idrofobia e mal di denti. Egli acconsentì e, come dono, si tolse un dente e lo regalò agli abitanti, con uno zoccolo della sua mula. I contadini usavano imprimere lo zoccolo di mulo sulle loro braccia, per prevenire il mal di denti e l’idrofobia causata dai morsi di cani impazziti. Ci sono dei piccoli zoccoli di muli che vengono conservati per devozione. Le donne fanno buchi nei vestiti con questi amuleti, infatti le loro estremità sono fatte a punta proprio per questo scopo. Ancora oggi lo zoccolo del mulo e il dente sono ritenuti miracolosi e si può vedere il dente in una teca di vetro su un lato dell’altare nel santuario di San Domenico a Coccullo. Al santuario c’è afflusso di gente per tutto l’anno…La statua di San Domenico, il Santo Patrono locale, protegge dal dolore di denti, idrofobia e morsi di serpenti. La festa di San Domenico ha legami con alcune delle più vecchie tradizioni degli Abruzzi. I serpari, che si dice che siano discendenti di Circe, e che maneggiano i serpenti con indifferenza e senza danno, rendono questa processione magica e barbarica. La processione inizia dalla pizza di Santa Maria. Le donne di Cocullo, con il rosario, portano grosse candele dipinte e precedono la statua del Redentore, portata dagli uomini. Poi c’è la statua di San Domenico, i serpari, il Sacramento sotto un baldacchino, il clero, i soldati, ancora paesani che urlano e implorano. A volte nelle stanghe e nei braccioli che servono a trasportare i Santi vengono infilate corone di pane e questo pane, poi, diviene proprietà dei portatori. La processione si reca in chiesa e lì il Santo viene risistemato nella teca. Dopo la messa si portano via i serpenti e si contano; ciascun serparo viene pagato un tanto per testa, dopo che li ha portati nei campi e li ha uccisi. C’è una piccola fessura per le offerte dinanzi alla statua e tutt’intono vengono appesi cuori d’argento, trecce di capelli ed altri ex-voto. Durante la processione le donne si inginocchiano frequentemente, toccano la terra con la punta delle dita e mandano baci alla statua. Dopo la processione si vendevano amuleti di tutti i tipi e le donne li mettevano in bella mostra su bancarelle o su vassoi assicurati al collo. Si vendono penne di galline, tinte di rosso, viola e verde per allontanare il malocchio, a mezzetti di tre tenute insieme da un filo, ed anche piccoli quadrati di tela con l’immagine del Santo, che le madri usavano legare intorno al collo dei figli per proteggerli dal male. In un angolo nascosto della chiesa c’è un mucchio di terra (la terra di San Domenico), che si suppone sia la terra raccolta nel Santuario. I contadini riempiono i fazzoletti di questa terra e ne aspergano pio i loro terreni per assicurarli contro le locuste e flagelli di ogni genere; la notte del venerdì santo si puliscono le mura della chiesa, e la polvere raccolta è messa da parte e viene presa in piccole dosi col caffè, il brodo, l’acqua, contro le malattie. Questa polvere viene messa a volte nei sacchetti, dati come ex-voto. La processione arrivò alla statua di San Domenico e lì tutti in ginocchio baciarono una qualche parte della statua o la toccarono con le mani, che poi baciarono, pregando nel frattempo.
Cocullo: i serpenti e i serpari I serpenti per la processione sono raccolti dai serpari alla fine di aprile e ai primi di maggio, soprattutto nelle valli Marzia, Cauta e Vèccia. Li affermano al collo o per la coda. I serpari li stuzzicano offrendo loro il cappello da mordere; quando il serpente morde, il serparo strappa con forza il cappello portandosi dietro i denti e rendendolo innocuo. Con la saliva dei serpenti i serpari guariscono i morsi; li uccidono per farci, e vendere, l’antidoto per il veleno. Quando ai serpenti sono stati tolti i denti essi vengono tenuti al fresco e messi in buche con piccole aperture. Si fa entrare il primo serpente dalla parte della testa e gli altri dalla parte della coda. Perché in caso contrario il primo attaccherebbe gli altri. Non è possibile tirarli fuori prendendoli per la coda, perché i serpenti si gonfiano e rischiano di essere lacerati. Alcuni incantatori di serpenti conservano i rettili in recipienti caldi o in scatole con dei buchi e li nutrono col latte; i serpenti assumono un colore biancastro e vengono chiamati perciò serpi bianche. A Cocullo i serpenti si addomesticano e non mordono e si prendono facilmente. I più grossi vengono portati all’altare di San Domenico e poi vengono lasciati liberi in chiesa senza danno. I ciamatari sono quelle che praticano il ciamare: ad esempio si fanno mordere dai serpenti ad applicano poi come rimedio alla ferita la pietra di San Domenico. I serpari mi portarono degli splendidi serpenti ed io mi feci mordere le mani per vedere come erano forti; ma nonostante la forza, il morso era si e no più di una puntura di spillo. Un serpente era cieco ma molto forte e quando mi si attorcigliò al braccio e alla vita e strinse forte, fu difficile toglierlo. Quand’erano a terra i serpenti venivano verso di me muovendosi con un curioso guizzo. La testa si spostava velocemente nell’aria. La pelle era bella, di colore giallo crema con macchie scure o verdi.
Estella Canziani 1914

 

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