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FRANCESCO PAOLO
       MICHETTI
 

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Dopo aver visto come Michetti rappresenta gli abruzzesi è difficile pensare a questi come un popolo riservato e composto. Egli li ha ritratti con passioni d’amore e con un misticismo accesi.dal sole, in un turbinio di luce. Nella sua esecuzione c’è una energica ebbrezza e anche se a volte il suo.tocco risulta brutale, esso è sempre vivo. Il suo primo grande successo risale al 1876 con “la Processione del Corpus Domini a Chieti”. Da allora in poi egli ha raffigurato i contadini abbietti- dinanzi alla divinità come ne “Il Voto” – ed esaltati come ne “la festa di san Domenico di Cocullo”. E’ stato il suo quadro "la figlia di Iorio” ad ispirare l’omonima opera del D’Annunzio. In realtà il suo amico D’Annunzio lo ha costantemente elogiato, con entusiasmo nelle sue prose e nei suoi versi. Lo ha definito”un altro Leonardo” per la forza, il colore e l’universalità dei suoi lavori: “tu che come Leonardo hai la dolce facondia allettatrice”.

Anne Macdonell 1907

 

Nato a Tocco da Casauria nel 1851 si trasferì giovanissimo a Chieti per poi stabilirsi nel 1883 a Francavilla al Mare. Qui fondò il movimento culturale del Cenacolo, le motivanti riunioni avvenivano nel convento di Sant'Antonio, in breve divenne il centro culturale e letterario più importante d'Abruzzo. Tra il 1895 e il 1890 Michetti rese pubblici i suoi capolavori tra i quali la Figlia di Iorio,le Serpi e gli Storpi. Sul finale della sua carriera artistica si dedicò maggiormente alla fotografia.

 

Chiamato al tempo convento di Santa Maria del Gesù di Francavilla al Mare, fu un monastero acquisito da Francesco Paolo Michetti verso la fine dell'Ottocento. Rappresentò un luogo di grande spessore artistico e culturale, un centro di aggregazioni e riunioni delle migliori personalità, abruzzesi e non, di inizio Novecento. Basti pensare a Gabriele d'Annunzio, a Matilde Serao, a Francesco Paolo Tosti, a Basilio Cascella e a tanti altri che condivisero opinioni e scambi culturali notevoli. L'importanza del cenacolo superò i confini abruzzesi, divenendo un posto a cui ispirarsi.

 

«Lungi, su 'l cielo chiaro, la sagoma di Francavilla, netta, agilissima, tra 'l verde; più lungi sfumate molli caligni di viola…» Gabriele d'Annunzio Canto Novo (1882)


Importante fu il sodalizio tra Michetti e il Vate, il quale dedicò all'amico "Il piacere"(1889). Nel convento D'Annunzio scrisse, oltre a "Il piacere", anche gran parte de L'innocente (1891) e de Il trionfo della morte (1894): «Ora nel Convento di Francesco Michetti, pittore e pittagorico, io mi proponevo appunto di comporre la mia seconda prosa» (Gabriele d'Annunzio in Libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire, 1935).  L'amicizia tra d'Annunzio e Michette era basata su vera ammirazione e affinità estetica coinvolgente, la loro arte si stimolò a vicenda 
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«Queste settimane d'estate resteranno memorabili per me. Non avevo mai lavorato con tanta violenza e non avevo mai sentito il mio spirito in comunione così forte con la terra. Quest’opera viveva dentro di me da anni, oscura. Non ti ricordi? La tua Figlia di Iorio fece la prima apparizione or è più di vent’anni, col capo sotto un dramma di nubi. Poi d'improvviso si mostrò compiuta e possente nella gran tela, con una perfezione definitiva che ha qualche analogia con la cristallizzazione dei minerali nel ventre delle montagne.»

(D'Annuzio, lettera a Michetti, 31 agosto 1903)

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Dedica di d'Annunzio a Michetti in apertura del "Il piacere" del 1889):

Questo libro, composto nella tua casa dall’ospite bene accetto, viene a te come un rendimento di grazie, come un ex-voto.Nella stanchezza della lunga e grave fatica, la tua presenza m’era fortificante e consolante come il mare. Nei disgusti che seguivano il doloroso e capzioso artifizio dello  stile,  la  limpida  semplicità  del  tuo  ragionamento  m’era  esempio  ed  una emendazione. Ne’ dubbii che  seguivano lo sforzo  dell’analisi, non di rado un tuo aforisma profondo m’era di lume.A te che studii tutte le forme e tutte le metamorfosi dello spirito come studii tutte le forme e tutte le metamorfosi delle cose, a te che intendi le leggi per cui si svolge l’interior vita dell’uomo come intendi le leggi del disegno e del colore, a te che sei tanto acuto conoscitor di anime quanto grande artefice di pittura io debbo l’esercizio e  lo  sviluppo  della  più  nobile  tra  le  facoltà  dell’intelletto:  debbo  cioè  l’abitudine dell’osservazione  e  debbo,  in  ispecie,  il  metodo.  Io  sono  ora,  come  te,  convinto che c’è per noi un solo oggetto di studii: la Vita
Siamo, in verità, assai lontani dal tempo in cui, mentre tu nella galleria Sciarra eri intento a penetrare i segreti del Vinci e di Tiziano, io ti rivolgeva un saluto di rime sospiranti

all’Ideale che non ha tramonti,
alla Bellezza che non sa dolori!

 

Ben, però, un voto di quel tempo s’è compiuto. Siam tornati insieme alla dolce patria, alla tua ”vasta casa.„ Non gli arazzi medicei pendono alle pareti, nè convengono dame ai nostri decameroni, nè i coppieri e i levrieri di Paolo Veronese girano intorno alle mense, nè i frutti soprannaturali empiono i vasellami che Galeazzo Maria Sforza ordinò a Maffeo di Clivate. Il nostro desiderio è men superbo: e il nostro vivere è più primitivo, forse anche più omerico e più eroico se valgono i pasti lungo il risonante mare, degni d’Ajace, che interrompono i digiuni laboriosi.

Sorrido quando penso che questo libro, nel quale io studio, con tristezza, tanta corruzione e tanta depravazione e tante sottilità e falsità e crudeltà vane, è stato scritto in mezzo alla semplice e serena pace della tua casa, fra gli ultimi stornelli della messe e le prime pastorali della neve, mentre insieme con le mie pagine cresceva la cara vita del tuo figliuolo.
: Certo, se nel mio libro è qualche pietà umana e qualche bontà, rendo mercede al tuo figliuolo. Nessuna cosa intenerisce e solleva quanto lo spettacolo d’una vita che si schiude. Perfino lo spettacolo dell’aurora cede a quella meraviglia.

Ecco, dunque, il volume. Se, leggendolo, l’occhio ti corra più oltre e veda tu Giorgio porgerti le mani e dal tondo viso riderti, come nella divina strofe di Catullo, semihiante labello, interrompi la lettura. E le piccole calcagna rosee, d’innanzi a te, premano le pagine dov’è rappresentata tutta la miseria del Piacere; e quel premere inconsapevole sia un simbolo e un augurio.

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“La Pastorella”
Francesco Paolo Michetti,
1887,

 

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La figia di Jorio, Michetti 1895

"Alla terra d 'Abruzzi, alla mia madre, alle mie sorelle, al mio fratello esule, a tutti i miei morti, a tutta la mia gente, fra le montagne e il mare, questo canto dell'antico sangue consacro" (La Figlia di Jorio, Gabriele D'annunzio)

 

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Michetti_-_View_of_Francavilla_al_Mare_-_L'Illustrazione_Italiana_-_1877.jpg

Francesco Paolo Michetti 1877 Francavilla al Mare
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