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A mano a mano che salivamo, se ci guardavamo indietro, la nostra vista si allargava sull'intiero altipiano e scopriva, in tutto il suo splendore, la mole grandiosa del Gran Sasso. (Ignazio Silone)

Il Corno Grande è il rilievo principale del Gran Sasso d'Italia. La sua vetta occidentale (2.912 metri) rappresenta la cima più alta degli Appennini d'Italia. 

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Le altre vette del Corno Grande sono: la Vetta Centrale alta 2.893 metri, la Vetta Orientale con un'altitudine di 2.903 metri e il Torrione Cambi a 2.875 metri.  

Tra la Sella dei Due Corni e il Vallone delle Cornacchie si trova il Corno Piccolo con i suoi 2.655 metri

Al centro del Corno Grande, in una conca compresa tra i 2.650 e i 2.850 metri s.l.m., vi è il Ghiacciaio del Calderone. Si tratta dell'unico ghiacciaio appeninico, che, purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici è destinato a scomparire. Negli ultimi due decenni, infatti, ha subito una grande riduzione.

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«Tutti quelli che non sono stati alla cima dicano che vi è una Fontana in cima. Dico che non vi è Fontana nessuna, ma che vi è bene un gran vallone tra il Monte di Santo Niccola et il Corno Monte, dove sempre vi è la nieve alta quindeci o venti piedi, e più in alcun luocho dove la nieve e ghiaccio sta perpetuamente. E quest'è una quantità d'un grosso miglio di lunghezza, e di larghezza più di mezzo miglio, della qual sempre puoco o assai se ne disfà...»

(Francesco De Marchi, In Cima al Corno Monte, 1573)m

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Ghiacciao del  Calderone su Abruzzoom

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Corno Piccolo e Corno Grande

Il Corno Piccolo
è possente e monolitico,
ha due grosse spalle,
di pietra, ha le sue fiamme;
con sé un prezioso monile;
Livia il Campanile.
Il Corno Grande
è più alto ed elegante
ha tre vette frastagliate
del Gran Sasso è Cattedrale.
Un suggestivo e immacolato anfiteatro
è culla dell'ultimo ghiacciaio;
è vecchio, magro e malato,
ma una bolla d'acqua, chiamata Sofia
ti fa capire, che batte ancora la sua vita;
per lo studioso è un inghiottitoio
a me piace saperla, suo lacrimatoio.
Non possa pianger mai la gente
il Calderone possa farlo sempre!
Se per la gente il pianto è dolore
è vita, per quel "Vecchio" Calderone.
Al Passo del Cannone,
si nota l'effetto di una sua esplosione.
Alcune targhe in ottone
ti ricordano: la vita, la morte,
il dolore...e l'amore.

Filippo Crudele
 

Il tetto dell'Appennino, sua Maestà il Corno Grande. Il suo aspetto e la sua imponenza non ha nulla da invidiare alle cime alpine. La prima scalata è per opera di Francesco De Marchi, un ingegnere bolognese, nel lontano 1573, accompagnato da Francesco Di Domenico e altri portatori. Passando da Campo Pericoli si inoltrò attraverso l'attuale via normale per la vetta occidentale del Corno Grande. 

Il De Marchi così descrisse il panorama una volta giunto in vetta: “Quan’io fui sopra la sommità, mirand’all’interno, pareva che io fussi in aria, perche tutti gli altissimi Monti che sono appresso erano molto più bassi di questo. Così pigliai un Corno e cominciai la a suonare, dove si vedde uscire fuori dalle vene di questo monte assai Uccelli, cio è Aquile, Falconi, Sparvieri, Gavinelli, e Corvi".

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<... quel Monte che è detto Corno ...>
<...l’huomo non si puol dare aiuto l’uno à l’altro perché bissogna stare attacato alla pietra con le mani, massime quando si è appresso alla sommità un terzo di miglio dove la pietra è fragilissima.  Dico se l’huomo cadesse che vi son molti luochi dove verrebbe ducento, e più bracci per aria.  Poi trovarebbe punte di sassi e d’ivi potteria cader’altro tanto, come fece un Frate l’anno 1572, che cascò et andò in pezzi...>  (dal Diario di Francesco De Marchi)
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Bisogna aspettare il 1794 quando Orazio Delfico salì sulla vetta orientale del Corno Grande dal versante teramano. La sua impresa fu importante anche per la prima misurazione della vetta del Gran Sasso attraverso l'ausilio di un barometro e altri strumenti del tempo.

 

 

Così Orazio Delfico descrive il ghiacciaio nella prima salita al Corno Grande dal versante teramano :…un esteso ripiano quasi interamente circondato da alte rocche, che ne formano come una maestosa conca…di neve non eguale in durezza al gelo, ma ben solida e ferma…in mezzo alla quale scorre un ruscelletto perenne…si può pensare che l’acqua appena incomincia a formare i piccolissimi primi achi per gelare, essi sono portati via dalla corrente e non possono attrarsi con quella polarità necessaria per formare i primi cristalli di gelo…

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IL PARETONE di Lino D‟Angelo – guida del CAI ( Aquilotti del Gran Sasso) 11 agosto 1958 L‟11 agosto scorso, Lino D‟Angelo guida del C.A.I. e il portatore Clorindo Narducci degli “Aquilotti del Gran Sasso” di Pietracamela (Teramo) aprivano la via “D‟Angelo – Narducci” al 3° Pilastro alla parete nord-est della vetta Orientale (m. 2885) del Corno Grande, nel gruppo del Gran Sasso d‟Italia. Ne diamo una breve descrizione e la relazione tecnica stesa dallo stesso D‟Angelo. Con la gradita compagnia di tre ragazzi comaschi, accampati sotto le pendici del Gran Sasso, completavo il mio allenamento sul primo camino a nord della vetta del Corno Piccolo. Il formidabile “Paretone”, il più grande del Gran Sasso, ci accoglieva così cedendo dopo molto tempo al desiderio degli uomini. Nel pomeriggio di domenica a stento riuscii ad acciuffare il giovane portatore in dolce compagnia per potergli svelare sotto voce il mio programma. Alle 21 eravamo sotto due pesanti zaini intenti a raggiungere la tenda degli operai al lavoro dove sorgerà tra poco il rifugio del C.A.I. Roma. Gli zaini si appesantivano sempre più; di tanto in tanto ci fermavamo a godere lo spettacolo che si presentava davanti a noi: una serata incantevole. In punta di piedi entrammo nella tenda: dentro non c‟era nessuno, solo un po‟ di paglia, una coperta, proprio quello che desideravamo. Gli operai dormivano tutti e non si accorsero di noi; al portatore dissi di sbrigarsi a fare un pisolino perché appena giorno volevo partire. Intanto temevo di essere tradito dal sonno e prima di addormentarmi pensai a lungo alla parete. Alle 4,30 eravamo ad attendere sullo spigolo dell‟Orientale il sorgere del sole. Quante cose belle avevamo già visto! Nella discesa del Canale Iannetta ad ogni passo gli occhi erano attratti dall‟immensa parete indorata dai primi raggi del sole. Alle 7 ci stringemmo la mano e partii all‟attacco; molti pensieri passarono frettolosi nella mia mente al momento di affrontare la spaventosa parete. Ad un tratto della salita in un passaggio delicato un chiodo mi feriva alla mano destra; il destino sembrava volesse proprio ostacolare la nostra impresa ma, ribellandomi, dopo una piccola medicazione continuai. Quante tirate di corda seguirono ancora! Quante difficoltà! La mano mi sanguinava al contatto con la roccia, il grande vuoto sotto di noi aumentava e come visti da un aereo ci apparivano laggiù i tetti del piccolo borgo di S. Nicola. Fuori dalla difficoltà e lieti di aver riportato il nome degli “Aquilotti del Gran Sasso” sulla grande parete, sentivo in me tornare una gran calma come per un desiderio a lungo represso e che finalmente, dopo una lotta di ore ed ore con la verticale roccia, si era avverato. La vetta Orientale del Gran Sasso d‟Italia precipita verso Nord-Est con una parete a picco per circa 1400 metri, di gran lunga la più imponente parete di tutto il gruppo. Limitata ai lati dalle gigantesche creste, Nord ed Est, è solcata quasi nel mezzo da un canalone che, staccandosi dal ripiano dell‟anticima, si biforca in basso in due rampe erbose formano una grande ipsilon rovesciata. Il “Paretone”, così lo chiamano gli alpinisti locali, fu salito la prima volta dal Iannetta nel lontano 1922 per il grande canale che oggi porta il suo nome. Mentre il tratto inferiore della parete è di roccia ed erbe e quindi di scarso interesse alpinistico, il tratto superiore, a sinistra del canale Iannetta, è costituito da una vasta parete caratterizzata da quattro ertomi pilastri, il 3° dei quali, partendo da sinistra, è il più alto e il più centrale di tutti.

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Niccola Palma, storico teramano, descrisse così l'impresa del Delfico:

 Ei si prefisse di misurare il primo l'altezza del monte più elevato della catena degli Appennini, con ragione appellato il gran sasso d'Italia e comunemente Monte-Corno, col metodo barometrico inventato da de Luc: e vi riuscì, dopo essersi arrampicato a gravi rischi sino alla vetta di esso, nel dì 30 luglio 1794. Trovò ... l'elevazione di Teramo sopra il livello dell'Adriatico ... quella di Ornano sopra Teramo ... e quella della cima di Monte-Corno sopra Ornano ... l'altezza di questo sopra il livello del mare viene ad essere di 9577 (piedi parigini). Soddisfatto tale scopo primiero, altre corse eseguì di poi sui nostri Appennini per geologiche investigazioni. »

(Niccola Palma, Storia della città e Diocesi di Teramo, Teramo, Tercas, 1981, vol. V, pp. 371-372.)

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Nel 1880 vi è la prima escursione invernale con i cugini Gaudenzio e Corradino Sella. Nel 1886 avvenne la costruzione del primo rifugio appenninico: il Rifugio Garibaldi. Nel Febbraio del 1929 una grave tragedia accadde a due noti alpinisti:  Mario Cambi e Paolo Cichetti. Intrappolati al rifugio Garibaldi per diversi giorni perirono nel disperato tentativo di discesa verso Pietracamela attraverso la Val Maone, questo il racconto dei loro ultimi giorni: 

9 febbraio 1929
Siamo senza orologio. Partiamo a giorno alto diretti al Corno Piccolo, giungiamo dopo circa due ore, attraverso varie difficoltà per le orribili condizioni della neve valangosa.

Attacchiamo immediatamente la cresta SE (Chiaraviglio-Berthelet). Al tramonto giungiamo al cengione sotto la “Mitria”. Siamo costretti a tornare a causa della notte prossima e delle mani gelate. Il freddo è stato di una intensità straordinaria. L’esser costretti ad andar senza guanti fa gelare le mani immediatamente, le cui dita diventano in pochi secondi di un color giallo.

La perdita di un sacco aggrava le nostre condizioni. La via da noi seguita, che di estate è una interessante arrampicata, senza mai gravi difficoltà, è in questa stagione straordinariamente difficile e pericolosissima, date le condizioni della neve. Il freddo era tale che le mani si appiccicavano alla roccia e al ferro della picozza, a causa della loro umidità che gelava immediatamente al contatto. Anche la saliva gelava subito al contatto della roccia. Abbiamo percorso circa la metà della cresta e nella sua parte più difficile. Se non fosse stato il pensiero che una notte passata all’aperto con questa temperatura sarebbe stata quasi certamente impossibile a superarsi, saremmo giunti in vetta. Ritorniamo al Rifugio, dopo aver recuperato il sacco, per il Passo del Cannone e la Conca degli Invalidi. Il percorso viene compiuto di notte. Togliendoci le scarpe, troviamo i nostri piedi in una fodera di ghiaccio e ci accorgiamo di averne ciascuno di noi uno congelato. Lo massaggiamo immediatamente con neve e poi con alcool. Si gonfiano prendendo aspetto di cotechini e sono perfettamente insensibili. 

10 febbraio 1929
Stiamo smaltendo il congelamento. I piedi accennano a sgonfiare. Anche una mano di Mario è nelle medesime condizioni. 

11 febbraio 1929
ldem come il giorno precedente. Fuori nevica. 

12 febbraio 1929
Ci svegliamo la mattina completamente sepolti. La neve caduta durante la notte ha otturato il pertugio che ci serviva di ingresso. La mancanza della pala ci mette in serie difficoltà. Siamo costretti a gettare la neve dentro al rifugio per chiudere la porta. Siamo veramente dispiacenti di questo, ma non possiamo fare altrimenti. Coloro che verranno dopo di noi ci vorranno scusare. Terminate le provviste, ci rechiamo, o meglio, speriamo di giungere a Pietracamela. I piedi nelle medesime condizioni. Tempo pessimo. 

Paolo Emilio Cichetti
Mario Cambi

 

Finalmente alle 11.30, eravamo sulla vetta (2921m sul livello del mare). Non ti descrivo la nostra soddisfazione morale e materiale, giacchè tu fosti già d'estate sul Gran Sasso essendo io collassù per la prima volta, non posso fare confronti, ma credo che il panorama jemale non debba essere meno bello dell'estivo. In ogni caso, il contrasto tra le profondi valli, e la neve ed il ghiaccio che coronano le cime circostanti e le loro pendici, dà a questa stagione ed al Gran Sasso tutte i pregi di una delle alte montagne delle Alpi superiori al livello delle nevi perpetue. Il panorama ci parve bellissimo. Sopratutto era per noi attraente uno spettacolo, al quale nè sul Monte Rosa nè sul Cervino, nè sul Monte Bianco io mi ero avvezzato: quello del mare Adriatico, il quale si sarebbe detto poco lungi dai nostri piedi e a noi legato da tanti fili d'argento, quali apparivano i corsi d'acqua che dal lato del versante orientale del Gran Sasso scendono al mare.
Libro di Vetta, Corno Grande, 1936, Club Alpino italiano, sezione di Roma.

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Una stretta fessura ci condusse comodamente alla selletta successiva , il punto più basso della cresta.    Da qui si raggiungeva facilmente il nevaio che si trovava sulla sinistra. Davanti a noi si innalzava ripido e respilgente il torrione. Dopo che il tentativo di suo spigolo fallì miseramente, ci voltammo a destra e scendemmo per alcuni metri un ripido canale pieno di neve. Poi Schmidt iniziò ad arrampicarsi su per un camino.. il camino si trasformò in un canalino, la cui roccia friabile e poco affidabile ci era saltata all'occhio già da lontano per il suo colore rosso. Più in alto il canalino si trasformò nuovamente in un camino che si restringeva sempre di più fino a formare una fessura molto stretta. Su facili roccette raggiungemmo la vetta del Torrione. K. Riebeling "Traversata delle tre vette 1910"
Prima traversata delle tre vette da Ovest verso Est del Corno Grande, 1910.

Vetta Occidentale 2912m
Torrione Cambi 2875m
Vetta Centrale 2893m
Vetta Orientale 2903m

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Il nome, la mole superba, la forma elegante e singolaredel nostro Gigante dormiente.
Fedele Romani, 1907

 

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