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Volta la testa, io ti incontrerò forse in questa città se ti riconoscerò apri le braccia ed io guarirò da questi stupidi affanni, dai miei malanni. Gran, Gran Sasso, che parli con le stelle le lacrime che asciughi son sempre quelle Grande Sasso, conserva il tuo mistero e ogni sogno fatto lo vivrò davvero.

(Ivan Graziani)

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Il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga è stato istituito nel 1992, il gruppo montuoso più imponente della catena appenninica, il bacino del fiume Vomano e quello del fiume Pescara nella parte meridionale fanno da confine al territorio del Parco. La "bella addormentata" è una lunga catena che si protae dal Passo delle Capannelle alle gole di Popoli. Il grippo montuoso più simile alle Alpi Dolomitiche come caratteristiche morfologiche, tipologia di erosione e scenari paesaggistici. In direzione Nord - Ovest il Gran Sasso si concatena con i Monti della Laga.

"Ogni gran sasso à te s'inchina, e ammira con profonda humiltà l'alte tue fronti."
Francesco Zucchi 1636


Le montagne della Laga, tronco montuoso estendendesi dal Tronto al Vomano per circa 30 km, le quali sono separate dai Sibillini dalla gola di Arquata, per la quale il Tronto esce dall'altipiano Aquilano per dirigersi al mare. I monti della laga: Pizzo di Sevo (2422m), monte Gozzano (2355m), monte Di Mezzo (2180), scendono ripidamente con profondi burroni nel versante orientale e danno origine al Castellano, affluente del Tronto, ed al Tordino. Il versante occidentale precipita ripidamente solo fino a metri 900, ma questa s'allarga nell'altipiano di Montereale. Fra monte Cardito e monte Piano è una gola per cui esce il Vomano dall'altipiano centrale, per scendere al mare. Questa gola separa i monti della Laga dal Gran Sasso d'Italia, gruppo nel quale prosegue la linea orientale, formato dai monti Corno (2921m), Intermesole (2447m), Cefalone (2532m) e Portella (2338m). L'imponente ammasso aspro, grandioso, eccelso nel suo aspetto alpino, comincia dalla riva destra del Vomano e termina sulla riva sinistra del Pescara  a Popoli (112 km circa).
Enrico Abbate "Guida dell'Abruzzo", 1903.


Monte Infornace

Diverse sono le possibili ferrate lungo la catena di diversa difficoltà, la via Ricci sulla vetta orientale del Corno Grande, la via Danesi sul Corno Piccolo, il sentiero Ventricini, le varie ferrate lungo il Sentiero del Centenario. Meritevole di menzione è la ferrata Guido Brizio che permette la salita da Campo Imperatore alla sella dei due corni. Nel 1966 è stata inaugurata la via di accesso al Bivacco Bafile. Nel 1889 Enrico Abbate e Giovanni Acitelli conquistano il Corno Piccolo, nel 1910 Hans Schmidt e Hans Riebeling effettuano la prima traversata delle tre vette principali del Corno Grande. 


Restammo al rifugio quasi una settimana e salimmo parecchie cime d‟intorno, il Corno Grande, si capisce, poi l‟Intermesoli, il Cefalone, il Corno Piccolo. Tornammo due volte al Corno Piccolo. La seconda volta ci sbizzarrimmo su e giù pei vari torrioni. Non so come, ci trovammo su per la parete sud del Torrione Cicchetti. Ad un certo punto pareva non fosse possibile proseguire, m‟ero incrodato lungo una lastra liscia, quasi verticale, senza un appiglio. Guardando bene scoprii un buchetto curioso, anzi erano due buchetti che si riunivano dietro, tra di loro. Infilai un cordino, che poggiava sulla colonnetta di pietra separante i due vuoti, e me ne feci una staffa. A quei tempi le sigle esoteriche di oggi non erano ancora state inventate; forse oggi si direbbe “artificial-naturale 1”, chi sa! Così la paretina venne facilmente superata; Nico ed io ci trovammo seduti sulla vetta del Torrione in uno dei pochi momenti di sole, durante quei giorni per lo più cupi e nebbiosi. Sul Corno Grande e sulle cime vicine, sul Torrione Cambi, sulla Vetta Centrtale, avevamo ritrovato la pietra, i colori, la vegetazione stessa delle Dolomiti. Era stata un‟impressione inattesa e piacevolissima, come tornare tra vecchi amici! Non so, forse esagero, ma il vero innamorato dei monti ha gioie, talvolta, d‟una autentica sensualità geologica. Come l‟amatore di donne gioisce alla scoperta di certi paesaggi carnali (quei peluzzi biondi sulla pelle bruciata dal sole, quell‟attacco di collo, quella tal caviglia …), così chi degusta i monti fino in fondo con l‟anima, coi sensi, con tutto, prova brividi d‟intenso piacere geologico alla vista ed al contatto di certe pietre, di certe rupi. Dopotutto la roccia cos‟è se non carne del mondo, carne cosmica? Personalmente trovo sempre irresistibile il calcare, le sue luci, il suo colore, il suo tatto, la sorpresa continua del suo modello capriccioso. Tutto mi piace nel mondo del calcare; le piante che prediligono quel sostrato, la terra rossa che si nasconde nelle buchette, il brillio d‟una vena di cristalli minuti. Le Dolomiti, si sa, sono la metropoli del calcare, ma monti di quel sasso corrono dalle Grigne a Trieste ed oltre. E come non ricordare le grandi rupi rosse di calcare intorno a Palermo, Monte Pellegrino, Capo Gallo, Capo Zafferano, Pizzo Lungo, luoghi che pochi conoscono, monti scolpiti a strane rughe, con spaccature dai bordi taglienti, dove ci si arrampica seguiti dai profumi di spezie quasi esotiche, dalle salvie, dagli elicrisi, dai rosmarini, dai cavoli selvatici. Certe volte per liberare una cengia si strappano ciuffi d‟euforbie. Il Corno Piccolo era invece del tutto diverso. Ecco una roccia severa, maschia, che si presentava in blocchi smisurati come castelli, o come antichi templi un po‟ misteriosi, con cupole e duomi arrotondati. La luce radeva la pietra con felice eleganza mettendo in rilievo la sua granulazione quasi preziosa,. Era bello questo contrasto tra la superba semplicità delle singole masse petrigne, e la finezza poi dei particolari. Toccavi, carezzavi quella pietra, come avviene pel protogino del Monte Bianco, con un vago senso di riverenza, quasi ti trovassi al cospetto d‟un gigante. La dolomite è più femmina, più capricciosa. Questa era una roccia elementare, possente. Non so, mi pareva s‟intonasse in modo perfetto cogli orizzonti sconfinati dell‟Abruzzo. Più tardi avrei imparato quante somiglianze vi possono essere tra certi panorami abruzzesi e certi prospetti del Tibet. Campo Imperatore, per esempio, potrebbe benissimo essere Tibet; ricorda la pianura sconfinata di Phari Dzong, a 4200 metri, sulla via tra l‟India e Lasha. Certo le dimensioni. Lo so, ma fondamentalmente ci siamo. Oggi l‟incanto è guasto, rotto; Campo Imperatore è percorso dalle macchine che corrono lungo nastri d‟asfalto. Ci sono alberghi, rifugi, cantoniere, spacci. Ma in quegli anni lontani non era ancora arrivato il “progresso” e Campo Imperatore bisognava conquistarselo passo passo, con ore ed ore di cammino. Le vere dimensioni del paesaggio ti penetravano in corpo, in cuore, poco alla volta, come un filtro sottile che esercita la sua malia dopo molto tempo.
Fosco Maraini


"Sul Corno Grande e sulle vette vicine, sul Torrione Cambi e sulla Vetta Centrale, avevamo ritrovato la pietra, i colori e la vegetazione stessa delle Dolomiti", Fosco Maraini.

Marica Branchesi: dal Gran Sasso si tocca il cielo, ci si perde tra le stelle, il cielo è talmente limpido. Non a caso a Campo Imperatore cè la stazione astronomica dell'Osservatorio d'Abruzzo, con un telescopio ottico e uno infrarosso. Salendo sul Gran Sasso si è avvolti da panoramici unici. E' come entrare in una fotografia o in un quadro perfetto i cui colori cambiano con le stagioni. Si è avvolti dalla bellezza della natura. Io fin da bambina ho sempre vissuto in campagna e salendo al Gran Sasso torno indietro nel tempo e trovo quella pace e serenità che nella vita di tutti i giorni spesso ci manca. 

Qual bianca erta barriera si aderge il Piccolo Corno di dritte torri adorno fasciato di mister. Con l'ugne e con la corda pareti fascinose o balze paurose noi vi conquisterem. Atavici richiami ci spingono sul Monte di ogni dolcezza fonte dator di ogni virtù. Sgorgan dal cuor che esulta pensieri forti, arditi: i nostri non son miti son palpiti d'amor. Sempre l'Aquila Reale ci accompagna nel cammino e quand'essa batte l'ale noi gridiam: per te "Hurrà"!
Inno "Aquilotti del Gran Sasso",  Versi di Ernesto Sivitilli

Inno

Addunque questo monte è veramente il più alto e il più orrido di tutti i monti d’Italia perche sendo alla cima si vede il Mare Adriatico, il Ionico, et il Tirreno, et se non vi fussero tanti monti trà mezzo si vederebbe ancora il Mar Ligustico.
Francesco De Marchi 19 Agosto 1573

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"In questa pianura si vengano gran quantità di bestiame a pascolare, massime pecore. Dico che passanosesanta o sett'anta mila pecore Che qui vi vengano a pascolare. Cominciano ad entrare il dì S. Giovanni e vi stanno per e tutto Luglio Quando i pastori vi sono con gli animali à pascolare par esser'uno essercito grossissimo à vedere tante capanne e tante tende, massime la sera quando tutte anno acceso i fuochi".
(Francesco De Marchi 1573).

 

Monte Brancastello, parte del Centenario ed il Corno Grande
 

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La catena del Gran Sasso si presenta imponente, come una immensa muraglia dentellata, a levante di Aquila, e su di essa torreggia la dirupata cima di Monte Corno. Dal lato teramano, da cui si eleva quasi a picco il Corno Grande colla sua minore ma non meno dirupata appendice del Corno Piccolo: l’aspetto della montagna è ancora più aspro ed imponente, e tale da giustificare a prima vista la fama di inacessibilità che essa ebbe per il passato. Ora la montagna è riconosciuta non difficilmente accessibile quasi da ogni lato, e viene percorsa ed ascesa di frequente da studiosi ed escursionisti.
Luigi Baldacci e Mario Canavari, 1884

"Da Aquila vediamo questo re degli Appennini immediatamente sulla nostra sinistra… Pochi hanno asceso questa montagna, ed essa è quasi mitica e sconosciuta, come tutta la regione limitrofa. E’ un nodo montuoso di figura allungata, di forme gigantesche e massicce,almeno per quel che si può giudicare vedendolo da Aquila. Dal cento di questa massa montuosa si alza una specie di cono o di gobba, coperto di neve; questo è il Gran Sasso, il punto più alto d’Italia: 9000 piedi di altezza."
Ferdinando Gregorovius 1871

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Pizzo Cefalone 2533m

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Pizzo Intermesoli 2635m

Le vette principali del Gran Sasso d'Italia: 

Corno Grande, vetta occidentale 2912m
Corno Grande, vetta orientale  2903m
Corno Grande, vetta centrale 2893m
Torrione Cambi  2875m
Corno Piccolo 2655m
Pizzo d'Intermesoli 2635m
Monte Corvo 2623m
Monte Camicia 2564m
Monte Prena 2561m
Pizzo Cefalone 2533m
Monte Aquila 2494m
Monte Intermesoli, vetta settentrionale 2483m
Monte Infornace 2469m
Cima delle Malecoste 2444m
Cima Giovanni Paolo II 2425m
Monte Portella 2422m

Monte Brancastello 2385m
Cima Venacquaro 2377m
Torri di Casanova 2362m
Pizzo di Camarda 2332m
Monte Tremoggia 2331m
Cima Falasca 2300m
Dente del Lupo 2297m 

Ai piedi del Gran Sasso.. Si possono vedere, al di sopra della breve zona boscosa, circa duemila metri di nudo sasso, di color ferrigno, elevarsi impetuosi verso il cielo. La forma del monte è quasi quella di un mitra episcopale, ma a me non piace paragonarlo ad uno oggetto senza vita: egli è vivo e vede e sente; si leva gigante a capo della valle, come il signore di essa e, con l'ardua punta, scopre, dicono, fin là remota riva della Dalmazia.
Fedele Romani 1907

Il toponimo Gran Sasso venne citato nel lontano 1636  nel poemetto "Monte Corno altero per le grandezze dellillustrissimo sig. Alvaro alarcon di mendoza,". La prima frase in cui si utilizzò tale termine al posto di Monte Corno fu  "ogni gran sasso a te s inchina e ammira con profonda humilta' l alte tue fronti."

"Altezza iniccessibile dè Monti Oue passeggia gli Astr, è l sol's agira; V son gli alber cristallo; argèto i fonti Oue s'arrota il ciel, ch'eterno gira."

“Ogni gran Sasso à te s’inchina, e ammira con profonda humiltà l’alte tue fronti”,Oue non giunge Borea, e non s'adira, accio le balze tue perfido affronti.

"Ah' non mirate forsi ù fatìa, ed erra il CORNO d'Appennin, che passa il Sole, al cui piede la gloria star si duole D'Olimpo, Pelio, ed ossa ognior sotterra."

Monte Corno Altero per le Grandezze dell’Illustrissimo Sig. il Sig. D. Alvaro Alarcon Di Mendoza, Francesco Zucchi 1636


Ciò disposto ai 25 Luglio dell'anno 1794 mi partii per visitare questa Montagna, che veramente torreggia sulla lunga catena de'Monti Appennini, che dividono il Regno e l'Italia tutta nella sua lunghezza, e che perciò è generalmente divisato col titolo di Gran Sasso d'Italia. Benchè presso gli antichi Scrittori non se ne trovi ricordanza, egli è pur da credersi, che forse non con altro nome l'individuassero, che col presente, cioè Monte Corno, poichè tal denominazione usarono per altri monti di simile apparenza, cioè che si ergono in una punta molto elevata, e svelta in proporzione della gran massa del Monte.Quindi esso si vede a grandissima distanza; e sembra in queste parti l'ultimo scaglione della favolosa opera dei Giganti, giacchè facendo quasi un sol corpo con altri monti della catena, li supera tutti nella sua elevazione.
"Una salita al Gran Sasso d'Italia, Orazio Delfico 1794"

Un piccolo piano inclinato offre la sommità della montagna quasi fosse un coverchio, o un gran lastrone ivi sopra imposto uniforme della pietra istessa Non è facile l’ esprimere quel misto di sensazioni che provai al trovarmi per la prima volta sulla cima di una così alta montagna, e come l’orrore dei passati perigli, e l’aspetto delle balze le più alpestri, delle valli voraginose, dei dirupi più spaventevoli, dei grandiosi sfasciumi che da più parti mostra il monte, fosse tutto superiormente compensato dalla veduta, che comprendeva il maggior spazio, che si fosse presentato al mio sguardo. Se il tempo fosse stato sereno, avrei goduto del grandioso quadro di vedere i due mari che bagnano l’Italia, e sicuramente le opposte sponde della Dalmazia.
Orazio Delfico, 1794 


Nel Parco Nazionale del Gran Sasso rientrano i seguenti comuni così suddivisi:

Provincia Teramo:
ArsitaCampliCastelliCivitella del TrontoCortinoCrognaletoFano AdrianoIsola del Gran Sasso d'ItaliaMontorio al VomanoPietracamelaRocca Santa MariaTorricella SicuraTossiciaValle Castellana.

Provincia Pescara:
BrittoliBussi sul TirinoCarpineto della NoraCastiglione a CasauriaCivitella CasanovaCorvaraFarindolaMontebello di BertonaPescosansonescoVilla Celiera

Provincia dell'Aquila:
Barete, Barisciano, Cagnano Amiterno, Calascio, Campotosto, Capestrano, Capitignano, Carapelle Calvisio, Castel del Monte, Castelvecchio Calvisio, L'Aquila, Montereale, Ofena, Pizzoli, Santo Stefano di Sessanio, Villa Santa Lucia degli Abruzzi

Devo innanzi tutto precisare in tale sede che la denominazione Gran Sasso di?Italia non si riferisce , come comunemente si crede, soltanto ad una vetta, bensì a tutto il gruppo montuoso del Gran Sasso. La parte centrale che si eleva oltre i 2000 m. è formata da due catene parallele ciascuna delle quali raggiunge una lunghezza di circa 25 km. Il monte più alto del Gruppo è il monte Corno, che sovrasta di gran lunga le altre vette ed è chiamato dalla gente del luogo semplicemente “il Corno”. Con i suoi 2921 m, questo monte raggiunge quasi l’altezza del Zugspitze. Monte Corno, Monte Intermesole ed il Corno Piccolo oltrepassano solo di poco l’altezza del 2600m, mentre le altre cime restano al di sotto di tale altitudine….la prima scalata al Corno Grande avvenne nell’anno 1794 ad opera di Orazio Delfico, di Isola del Gran Sasso. Ciò si spiega perché da Isola si abbraccia con lo sguardo il percorso naturale per arrivare alla vetta. Fino all’apertura della ferrovia Orte- l’Aquila e fino alla costruzione dl rifugio (1886), questo fu il percorso abituale degli alpinisti. Da quella data tuttavia, cioè dal 1886, tale percorso, non fu più preso in considerazione nelle ascensioni da intraprendere a causa della grande distanza e della differenza di quota (2500 m) che rendevano necessaria la formazione di un campo base. Fino ad epoca recente la scalata del Corno grande era ritenuta un’impresa eccezionale.
Alfred Steinitzer 1911
"Tre settimane negli Abruzzi"


Sono passati 45 anni da quando visitai il Gran Sasso per la prima volta. Ripensando a quei giorni posso dire per esperienza diretta che ho imparato come nascono i miti, le leggende! …
Oggi abbiamo la scrittura, la fotografia, i dischi, i nastri magnetici, le anagrafi, i catasti; il tempo viene congelato con cura e messo via a strati, come pile di giornali in una biblioteca, o come mille foglie di neve in un ghiacciaio; un anno sopra l‟altro, per benino, gli eventi tutti registrati in ordine perfetto. La fantasia non ha più spazio intorno a sé. Può tentare delle sortite, se vuole, ma a suo rischio e pericolo; chiunque la può smentire ed umiliare sventagliando documenti scritti, stampati, registrati, d‟ogni genere. “Io vedevo il mondo così”, asserisce la fantasia: “No, ti sbagli, controbatte l‟archivio – era cosà! Non ci credi? Eccoti le pezze d‟appoggio!”. Millenni or sono, in tempi più vasti e più liberi, potevano bastare 45 anni – adesso lo so per esperienza personale – a creare un mondo fantastico, in cui tutto appariva magicamente trasformato. Come lo vedo immenso, primordiale, silenzioso, remoto, arcigno il Gran Sasso, in quei lontani ricordi! 
Innanzi tutto consideriamo l‟accesso. Arrivammo ad Assergi in moto, mio cugino Nico ed io. Ma da lì in su la montagna era vera montagna, non – com‟è oggi – un terrapieno per strade asfaltate, o una specie di gigantesco pilone per gondole di funivie. Soltanto il fatto di salire a piedi, con un pesantissimo sacco sulle spalle, da Assergi alla Portella, al crinale sassoso tra Pizzo Cefalone e Monte Portella, che lunga, lenta, sudata conquista! Quelle ore di fatica ci allontanavano gradualmente dal mondo normale della pianura e della città. Lasciavi la fonte Cerreto tra le querce; poco dopo gli alberi si trasformavano in arbusti, poi sparivano del tutto, mentre la salita si faceva più ripida. Le ossa di pietra della montagna sbucavano dal manto misero e giallastro d‟erbe secche. Ti sentivi lentamente accolto in un mondo dalle dimensioni inconsuete ed affascinanti. Le ore? Non contavano più nulla. Questi erano posti da secoli! L‟orizzonte si allargava piano piano. In un certo senso, salendo “creavi il mondo” – mentre adesso te lo trovi confezionato come un prodotto industriale, uscendo dalla funivia sul terrazzo dell‟albergo. Avevi sete? Dopo molta pena un piccolo stillicidio tra i sassi era scoperta e gioia. Avevi fame? Una sosta col sacco appoggiato sopra le pietre era ristoro e distrazione. Poi, non so, mi sbaglio?, ma esisteva tutto un mondo pastorale vivo e presente che oggi è quasi scomparso. Incontravi greggi, sentivi tintinnio di campane, respiravi odori forti di concimi, e il vento ti portava agli orecchi voci roche e richiami. I pastori – ne incontrammo diversi – sembravano uomini d‟un altro tempo, d‟un‟altra specie. Oggi se ne vedono ancora, ma arrivano su dal paese in macchina o in moto, tengono in tasca la radiolina; non sono più dei superstiti o dei testimoni d‟un universo antichissimo e segreto, ma dei rozzi apprendisti d‟un mondo nuovo, meccanizzato e purtroppo in gran parte volgare. Certo, può essere che mi sbagli! Ecco perché parlo di “nascita del mito”. Forse il mondo di quei tempi non era poi tanto diverso da quello di oggi; io però me lo ricordo diverso. Se raccontassi ai miei nipoti le giornate del Gran Sasso d‟allora, parlerei di pastori baffuti, foschi, sibillini, che portavano vecchie mantelline di lana militari grigioverdi (guerra 14 - 18) sulle spalle, e prodigiosi gambali di cuoio intorno agli stinchi; uomini misteriosi che apparivano dal nulla all‟imbrunire, come re magi; parlavano una lingua quasi incomprensibile; incutevano una vaga inquietudine perché non sorridevano mai. Di là della Portella scendemmo su Campo Pericoli e ci dirigemmo al Rifugio Garibaldi, un edificio basso e malconcio, quasi nascosto tra le gobbe del terreno sassoso. Mi sembra ci fosse un solo custode, un uomo anziano, molto simile a quei pastori che avevamo incontrato salendo, e come loro parco di parole. I rifugi d‟oggi sono quasi sempre parenti dei bar di paese; ma allora un rifugio faceva piuttosto pensare ad un antro, una spelonca, un rifugio di pastori. L‟immersione nella montagna era più genuina e totale. Se ne restava più vigorosamente trasformati. Oggi ci portiamo dietro troppa industria, troppo scatolame, troppe scritte, troppa plastica; la denudazione dalla vita quotidiana non arriva ad essere completa: certe cose nefaste ci s‟attaccano addosso come malattie. Allora al rifugio mangiavamo pane, formaggi, latte, eravamo ospiti delle greggi. Nella cucina di ghisa bruciavano pezzi di vecchio faggio portati lassù a dorso di mulo. Era autunno. Non c‟era anima viva in giro – voglio dire turisti, alpinisti. D‟alpinisti da quelle parti c‟eravamo solo noi. Restammo al rifugio quasi una settimana e salimmo parecchie cime d‟intorno, il Corno Grande, si capisce, poi l‟Intermesoli, il Cefalone, il Corno Piccolo. Tornammo due volte al Corno Piccolo. La seconda volta ci sbizzarrimmo su e giù pei vari torrioni. Non so come, ci trovammo su per la parete sud del Torrione Cicchetti. Ad un certo punto pareva non fosse possibile proseguire, m‟ero incrodato lungo una lastra liscia, quasi verticale, senza un appiglio. Guardando bene scoprii un buchetto curioso, anzi erano due buchetti che si riunivano dietro, tra di loro. Infilai un cordino, che poggiava sulla colonnetta di pietra separante i due vuoti, e me ne feci una staffa. A quei tempi le sigle esoteriche di oggi non erano ancora state inventate; forse oggi si direbbe “artificial-naturale 1”, chi sa! Così la paretina venne facilmente superata; Nico ed io ci trovammo seduti sulla vetta del Torrione in uno dei pochi momenti di sole, durante quei giorni per lo più cupi e nebbiosi. Sul Corno Grande e sulle cime vicine, sul Torrione Cambi, sulla Vetta Centrtale, avevamo ritrovato la pietra, i colori, la vegetazione stessa delle Dolomiti. Era stata un‟impressione inattesa e piacevolissima, come tornare tra vecchi amici! Non so, forse esagero, ma il vero innamorato dei monti ha gioie, talvolta, d‟una autentica sensualità geologica. Come l‟amatore di donne gioisce alla scoperta di certi paesaggi carnali (quei peluzzi biondi sulla pelle bruciata dal sole, quell‟attacco di collo, quella tal caviglia …), così chi degusta i monti fino in fondo con l‟anima, coi sensi, con tutto, prova brividi d‟intenso piacere geologico alla vista ed al contatto di certe pietre, di certe rupi. Dopotutto la roccia cos‟è se non carne del mondo, carne cosmica? Personalmente trovo sempre irresistibile il calcare, le sue luci, il suo colore, il suo tatto, la sorpresa continua del suo modello capriccioso. Tutto mi piace nel mondo del calcare; le piante che prediligono quel sostrato, la terra rossa che si nasconde nelle buchette, il brillio d‟una vena di cristalli minuti. Le Dolomiti, si sa, sono la metropoli del calcare, ma monti di quel sasso corrono dalle Grigne a Trieste ed oltre. E come non ricordare le grandi rupi rosse di calcare intorno a Palermo, Monte Pellegrino, Capo Gallo, Capo Zafferano, Pizzo Lungo, luoghi che pochi conoscono, monti scolpiti a strane rughe, con spaccature dai bordi taglienti, dove ci si arrampica seguiti dai profumi di spezie quasi esotiche, dalle salvie, dagli elicrisi, dai rosmarini, dai cavoli selvatici? Certe volte per liberare una cengia si strappano ciuffi d‟euforbie. Il Corno Piccolo era invece del tutto diverso. Ecco una roccia severa, maschia, che si presentava in blocchi smisurati come castelli, o come antichi templi un po‟ misteriosi, con cupole e duomi arrotondati. La luce radeva la pietra con felice eleganza mettendo in rilievo la sua granulazione quasi preziosa,. Era bello questo contrasto tra la superba semplicità delle singole masse petrigne, e la finezza poi dei particolari. Toccavi, carezzavi quella pietra, come avviene pel protogino del Monte Bianco, con un vago senso di riverenza, quasi ti trovassi al cospetto d‟un gigante. La dolomite è più femmina, più capricciosa. Questa era una roccia elementare, possente. Non so, mi pareva s‟intonasse in modo perfetto cogli orizzonti sconfinati dell‟Abruzzo. Più tardi avrei imparato quante somiglianze vi possono essere tra certi panorami abruzzesi e certi prospetti del Tibet. Campo Imperatore, per esempio, potrebbe benissimo essere Tibet; ricorda la pianura sconfinata di Phari Dzong, a 4200 metri, sulla via tra l‟India e Lasha. Certo le dimensioni. Lo so, ma fondamentalmente ci siamo. Oggi l‟incanto è guasto, rotto; Campo Imperatore è percorso dalle macchine che corrono lungo nastri d‟asfalto. Ci sono alberghi, rifugi, cantoniere, spacci. Ma in quegli anni lontani non era ancora arrivato il “progresso” e Campo Imperatore bisognava conquistarselo passo passo, con ore ed ore di cammino. Le vere dimensioni del paesaggio ti penetravano in corpo, in cuore, poco alla volta, come un filtro sottile che esercita la sua malia dopo molto tempo. Lasciato il rifugio Garibaldi, che allora era l‟unica base di appoggio, Nico ed io volevamo fare una puntata al Prena ed al Camicia. Il cielo era basso, cupo, c‟era poca speranza. Campo Imperatore era infinito; un oceano di pascoli lambiti dalla nebbia portata dal vento. Quando arrivammo verso Vado di Corno cominciò a piovere. Ci rifugiammo sotto una roccia ed aspettammo. Passò molto tempo. Si fece tardi. Dovemmo rinunciare. Mentre tornavamo verso la sella di Monte Aquila, le nubi d‟un tratto si aprirono. Per alcuni istanti apparve, incredibilmente alto nel cielo, il Corno Grande vagamente sfiorato dagli ultimi raggi di sole. Sono cose che non si dimenticano, parte d‟una leggenda segreta del cuore.
Fosco Maraini

 

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